Nel corso di questo secolo abbiamo assistito all’emergere di varie teorie psicologiche fondamentali per la comprensione del processo di apprendimento. Approcci cognitivisti, comportamentisti, psicodinamici, psicometrici e sociali hanno caratterizzato in modo differente la natura degli elementi critici in gioco nell’apprendimento e hanno messo a fuoco la centralità ora delle strutture cognitive, ora dei processi di base, ora delle risposte comportamentali, ora delle motivazioni e dei sentimenti, ora delle abilità, ora delle relazioni sociali.
Metacognizione, motivazione e apprendimento
Senza prescindere dall’importanza di ciascuno di questi aspetti, è interessante notare come essi diventino rilevanti quando presi in considerazione insieme alle modalità con cui l’individuo che apprende utilizza gli elementi esistenti.
Un’abilità cognitiva o una gamma di risposte disponibile nel proprio repertorio comportamentale assumono significato solo in relazione ad un soggetto che ne riconosce le caratteristiche e decide di utilizzarle per i suoi scopi, ovvero, solo in relazione ad un individuo che agisce “metacognitivamente”.
Dal punto di vista educativo, riconoscere il ruolo della metacognizione significa comprendere che il processo educativo non deve incidere soltanto sulle abilità di base o già acquisite (capacità di memoria, lettura,…) oppure sui prodotti dell’apprendimento (le nozioni apprese), ma anche sulle modalità di comprensione e utilizzazione delle abilità stesse.
Metacognizione
Il termine metacognizione venne coniato agli inizi degli anni ’70 in seguito agli studi di Flavell sulla conoscenza riguardo alla memoria e alle attività di memorizzazione che l’autore chiamò “metamemoria”.
A partire da queste ricerche la metacognizione venne ad indicare le conoscenze e i processi che hanno come oggetto i diversi aspetti delle differenti attività cognitive.
Quindi, in termini generali, possiamo definire la metacognizione come l’insieme delle attività psichiche che presiedono al funzionamento cognitivo: in qualsiasi processo cognitivo si possono distinguere le operazioni che rendono il processo possibile e gli aspetti metacognitivi rappresentati dalle conoscenze, valutazioni e decisioni che portano l’individuo ad effettuare il processo in un modo piuttosto che in un altro.
La metacognizione di ogni individuo comprenderà dunque le conoscenze sulle sue abilità cognitive, sulla natura dei processi cognitivi, sulle strategie per affrontarli e l’abilità di controllarli e monitorarli prima, durante e dopo la loro esecuzione.
Lo studio dei cambiamenti evolutivi ha dimostrato che al crescere dell’età, parallelamente ai processi nelle abilità di base e negli apprendimenti, si osserva una crescita significativa nelle conoscenze e nel controllo metacognitivi. Le conoscenze e il controllo metacognitivi si affinano quindi con lo sviluppo e appaiono in relazione con i processi nell’apprendimento.
La relazione tra metacognizione e prestazione è di natura casuale ma di direzione biunivoca in quanto la prima influenza la seconda ma a sua volta la prestazione e l’esperienza di apprendimento arricchiscono la conoscenza metacognitiva; ne consegue che l’insegnamento a riflettere sulla mente, a imparare a controllarla, a usare in modo efficace le strategie non solo produce prestazioni migliori, ma induce nel soggetto una più positiva attitudine verso il compito ed una maggiore motivazione.
La conoscenza metacognitiva viene acquisita attraverso noi stessi e attraverso gli altri: attraverso noi stessi essa sorge sia in base alle esperienze che facciamo durante lo svolgimento dei nostri processi cognitivi, sia in base alla riorganizzazione cui progressivamente il sistema è sottoposto; attraverso gli altri in quanto il ruolo dell’ambiente culturale è di fondamentale importanza (un esempio di acquisizione mediata socialmente è rappresentato dall’autocontrollo, che sembra in parte dovuto alla interiorizzazione di consegne verbali degli adulti).
I meccanismi metacognitivi che fanno riferimento alle attività che permettono di guidare e regolare l’apprendimento e il funzionamento cognitivo nelle situazioni di risoluzione dei problemi sono:
- la pianificazione: immaginare come procedere per risolvere un problema, elaborare delle strategie;
- la previsione: stimare il risultato di un’attività cognitiva specifica;
- le procedure: testare, rivedere, rimaneggiare le strategie;
- il controllo dei risultati: valutare il risultato di un’azione in funzione dello scopo previsto;
- la generalizzazione: applicare una strategia di risoluzione da un problema dato ad altri problemi o contesti.
Concludendo, possiamo affermare che promuovere la riflessione sul funzionamento della propria mente e sulla sua relazione con l’intera vita psichica può costituire un valido obiettivo. È necessario comunque evidenziare che il livello di conoscenza metacognitiva non è l’unico fattore causale del successo nella prestazione.
Infatti, per un compito di memoria si presume che molti altri fattori concorrano ad incrementare la prestazione come ad esempio la precedente conoscenza del materiale, la familiarità con il compito o ancora le risorse cognitive generali.
La metacognizione quindi influisce sui processi e solo indirettamente sulla prestazione e, a certi livelli di sviluppo, i processi scelti più sofisticati possono non essere necessariamente quelli che portano ad un migliore risultato a breve termine.
Motivazione
La motivazione del comportamento umano è un argomento molto vasto e complesso quindi di seguito illustrerò solamente quelle varietà di motivazioni umane che sono più rilevanti per il processo di apprendimento.
In letteratura sono rintracciabili numerose definizioni e tassonomie relative alla motivazione, a partire da quella classica che la considera suddivisa in due tipologie, intrinseca ed estrinseca, in base alla fonte che la genera.
La motivazione estrinseca è generata all’esterno dell’individuo: la persona svolge un compito per ottenere un premio, una gratificazione o semplicemente per evitare guai.
La motivazione intrinseca, invece, è generata dall’interno: le persone svolgono un’attività per il piacere di imparare (curiosità), per soddisfare il proprio bisogno di competenza, ma soprattutto perché si sentono libere di farlo senza vincoli o obblighi esterni (autodeterminazione), arrivando talvolta ad immergersi in quell’attività al punto da non rendersi conto del tempo che passa (motivazione di flusso).
In ambito scolastico gli studenti orientati a produrre una buona prestazione esclusivamente per superare i compagni o ricevere lodi (obiettivi di prestazione) tendono a maturare vissuti motivazionali estrinseci: si impegnano nelle attività scolastiche non perché siano interessati ad apprendere ma perché si aspettano in cambio una ricompensa.
Invece, gli studenti il cui obiettivo è lo sviluppo delle proprie abilità (obiettivi di padronanza), tendono a maturare vissuti motivazionali intrinseci: essi infatti si dedicano ad un’attività scolastica per il gusto dell’attività stessa e per accrescere le proprie competenze.
Sempre più situazioni di difficoltà di apprendimento sono da imputare, almeno in parte, ad un deficit nella motivazione intrinseca e cioè di un riconoscimento personale, da parte del soggetto, dell’importanza che riveste per lui quel tipo di acquisizione.
La motivazione estrinseca si differenzia da quella intrinseca per il fatto che viene sostenuta dall’esterno attraverso l’uso sistematico di rinforzatori positivi (ad esempio: la lode, l’approvazione pubblica, piccoli premi o gratificazioni). In questi casi la motivazione dello studente viene potenziata dalla presenza di questi incentivi, di per sé estranei ai contenuti di apprendimento.
È importante anche la resistenza del soggetto alla frustrazione e alla dilazione della gratificazione: se è in grado di tollerare molti tentativi falliti e l’idea di raggiungere solo dopo un po’ di tempo l’esito positivo finale, ha una risorsa psicologica estremamente favorevole per la motivazione e la persistenza verso l’obiettivo.
Anche la capacità di immaginare in modo chiaro e riferito alla propria persona quali saranno i vantaggi che porterà il risultato degli sforzi e del successo dell’apprendimento contribuirà ad aumentare la motivazione.
Molti studi evidenziano che sebbene la motivazione sia un fattore molto significativo dell’apprendimento e altamente facilitante, non è assolutamente una condizione indispensabile: essa infatti sembra diminuire la sua importanza man mano che i bambini crescono.
Quando l’apprendimento diventa più facile e richiedere uno sforzo minore, essendo cresciute la capacità cognitiva, il tempo e la capacità di concentrazione, allora è meno necessaria un’incentivazione del processo di apprendimento inoltre, poiché il bambino è più motivato da bisogni cognitivi, di appartenenza e di affermazione personale, i premi e le punizioni materiali diventano fattori meno determinanti.
Si può dunque avere un apprendimento significativo anche senza motivazioni il che però non implica la negazione del fatto che esse possano facilitare notevolmente l’apprendimento, se sono presenti e operanti.
A livello umano, la motivazione cognitiva (ovvero il desiderio di conoscenza fine a se stessa) svolge un ruolo centrale nell’apprendimento di significati ed è quindi ritenuta la più importante in ambito scolastico. Le motivazioni o gli interessi intellettuali specifici vengono acquisiti e dipendono da un’esperienza particolare: il fare, senza alcun interesse per quello che si fa, non permette un apprendimento stabile.
Un individuo che non sente il bisogno di sapere e capire compie sforzi abbastanza limitati per apprendere; se scarso nell’apprendimento significativo e consapevole, non riesce ad elaborare significati precisi, a fondere il materiale con i concetti che già possiede e non dedica tempo all’esercizio e al ripasso. In tal modo le conoscenze non sono mai consolidate abbastanza da formare una base adeguata per un apprendimento sequenziale.
Concludendo, potremmo così riassumere i differenti punti di vista riguardo alla motivazione:
- alcuni motivi sono generalmente considerati come risultati di processi fisiologici: ad esempio i bisogni (sete, fame, esplorazione, gioco,…) che dipendono dalla chimica del corpo;
- tutte le teorie della motivazione ammettono un’interazione tra l’organismo e l’ambiente;
- rimane controversa la questione se le tendenze più sociali (ad esempio l’autoaffermazione) siano innate o siano prodotte dall’esercizio e dalla esperienza;
- la maggior parte degli psicologi riconoscono che molta parte del nostro comportamento sia determinata da motivi inconsci.
Il livello di motivazione del bambino determina dunque l’energia che gli investe nel processo di apprendimento. Possono essere coinvolti tanto i bisogni primari che quelli secondari. Se il bambino non è motivato non può essere appagato e quindi viene a mancare il rinforzo che comunque riveste un ruolo importante nel determinare quali attività saranno apprese.
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Ultima modifica: 7 Maggio 2023