Lo studio dei processi cognitivi consente di descrivere e comprendere scientificamente il funzionamento della mente e di prevederne la manifestazione nei diversi compiti in cui i processi mentali sono chiamati ad operare; comprendendo dunque tutti quegli atti o processi attraverso cui l’individuo conosce il mondo esterno, nelle varie fasi della propria vita e nei differenti momenti di interazione con gli altri. L’attività cognitiva è legata all’attività decisionale e alla sfera emotiva.
L’Attenzione
Un soggetto che deve rispondere ad una stimolazione per apprendere, deve prima “registrare” questa stimolazione. Il significato di questa registrazione e quali processi coinvolga, è stato per molti anni oggetto di discussioni e indagini; gli studiosi concordano sul fatto che il primo momento debba essere il prestare attenzione allo stimolo.
Nell’apprendimento infatti sono implicate abilità cognitive complesse, tra le quali l’attenzione, che lavorano in sinergia fin dalle prime fasi dello sviluppo, supportandosi a vicenda. Senza questo lavoro sinergico non sarebbe possibile realizzare attività anche molto semplici.
“…l’attenzione è definita come quel processo che opera una selezione tra tutte le informazioni che in un dato istante colpiscono i nostri sensi o i nostri ricordi consentendo soltanto ad alcune di accedere ai successivi stadi di elaborazione…dobbiamo selezionare soltanto le stimolazioni ambientali che ci interessano in modo da impedire che un sovraccarico di informazioni crei interferenza nel nostro sistema di elaborazione. Tutto ciò necessita quindi di un filtraggio delle informazioni che viene messo in atto dall’attenzione, o più precisamente, dal funzionamento delle varie componenti del sistema attentivo.” (1)
Sull’asse della consapevolezza si può parlare di attenzione volontaria o involontaria: la prima si attiva su intenzione del soggetto; la seconda quando lo stimolo, improvviso o interessante, “cattura” il soggetto.
Sull’asse della temporalità, l’attenzione può essere declinata come immediata o sostenuta: la prima riguarda la capacità di focalizzarsi velocemente su uno stimolo; la seconda riguarda la capacità di permanere sullo stimolo, o una serie di stimoli, per un tempo prolungato senza distrazioni.
Su un’asse che potremmo definire più qualitativo troviamo l’attenzione selettiva, la quale ci permette di focalizzare l’attenzione su piccole parti di uno stimolo complesso (ad esempio riusciamo a prestare attenzione al nostro interlocutore anche quando attorno a noi ci sono molte altre persone che dialogano) e l’attenzione divisa, la quale ci permette di distribuire le nostre risorse attentive su più oggetti o attività contemporaneamente (ad esempio guidare e parlare con il passeggero).
Esempi di queste diverse declinazioni dell’attenzione si esplicano tutti i giorni in ambito scolastico: i bambini, infatti, devono mantenere un’attenzione sostenuta durante le spiegazioni, non lasciandosi distrarre dai suoni esterni, o devono svolgere attività che richiedono attenzione divisa, come ascoltare un dettato e scrivere sul quaderno.
Per lo svolgimento di compiti complessi è indispensabile che le abilità strumentali di lettura, scrittura e calcolo siano state automatizzate, pena l’affaticamento del sistema cognitivo e la non riuscita nel compito.
Il compito dell’attenzione è quello di selezionare uno stimolo, permettendo alle altre funzioni cognitive di dedicarsi solo ad esso: i processi cognitivi, infatti, elaborano primariamente ciò che l’attenzione cattura.
L’attenzione quindi non è una risorsa illimitata, ha tempi e modalità diverse di esplicazione in funzione della qualità e quantità di informazioni da veicolare ad elaborazione successiva.
Per chi lavora con bambini e ragazzi che hanno difficoltà di attenzione o disturbi specifici dell’apprendimento è importante alternare i compiti sia in base alle funzioni percettive e cognitive implicate (compiti visivi, uditivi, pratici,…) sia in base al grado di difficoltà o interesse del bambino; ciò permette di non affaticarlo troppo.
La Percezione
La percezione può essere definita come l’elaborazione delle informazioni sensoriali elementari convogliate dagli organi di senso. Il concetto di elaborazione sta ad indicare che la sensazione raccolta dagli organi sensoriali viene codificata, organizzata, riconosciuta e interpretata. I processi sottostanti le fasi di elaborazione permettono quindi di far emergere gli oggetti “strutturati”.
È difficile isolare una singola funzione cognitiva e misurarla escludendo l’interdipendenza che la lega alle altre funzioni cognitive, e, a tale proposito, sono da evidenziare le teorie gestaltiste che individuano le regole attraverso cui le informazioni catturate dai sensi sono integrate ed elaborate per acquisire significato, in stretta corrispondenza con gli aspetti soggettivi ed esperienziali.
Secondo Koffka e Kohler (2) i principi che influenzano la visione sono diversi, fra cui: il fenomeno del raggruppamento, attraverso il quale tendiamo ad organizzare gli stimoli in base ai principi di vicinanza, similarità, chiusura della forma, continuità di direzione e simmetria, il principio dell’organizzazione figura-sfondo che viene sempre eseguito dalla percezione dato che si può affermare che non può esistere una figura senza sfondo; (ad esempio, nel caso della lettura, tale meccanismo si attiva quando mettiamo percettivamente in primo piano le lettere rispetto allo sfondo e quindi la parola diventa lo stimolo dominante).
L’assunto degli psicologi della Gestalt è che l’apprendimento è guidato e determinato dalle leggi della percezione: le tracce che abbiamo immagazzinato in memoria riproducono l’organizzazione degli eventi percepiti, quindi la possibilità di risolvere o meno un problema dipende da come il problema è percepito.
I ricercatori che si sono occupati di studiare le abilità di letto-scrittura hanno indagato sia i fenomeni percettivi sia i movimenti oculari scoprendo differenze nei tempi di fissazione tra un lettore veloce ed un lettore lento che spesso tende a tornare con lo sguardo alle parole già lette.
Utilizzando il tachistoscopio (3) si è potuto dimostrare che un’immagine persiste nel sistema visivo anche dopo la sua scomparsa, quindi il meccanismo di lettura continua anche quando la parola è già sparita dal campo visivo: da questo potrebbero derivare effetti di interferenza durante la lettura potenzialmente in grado di alterare la comprensione del testo.
Questo aspetto solo per sottolineare l’importanza che riveste la percezione nel processo di apprendimento.
La Memoria
Da un punto di vista strettamente cognitivo la memoria è la funzione che permette di codificare, conservare e recuperare le informazioni tratte dall’esperienza quotidiana.
È importante notare che memorizzare è diverso da ricordare: dimenticare un’informazione, infatti, non necessariamente vuol dire che sia stata rimossa, può trattarsi di una momentanea incapacità di recuperare il dato, pur presente in memoria, a causa di un deficit dei meccanismi di recupero.
I processi di codifica (trasformazione del materiale in ingresso), immagazzinamento (mantenimento dell’informazione) e recupero sono fortemente influenzati dalle emozioni, dalle strategie di decodifica e dall’attenzione, cruciale sia nella fase di immagazzinamento che in quella di elaborazione e recupero.
Atkinson e Shiffrin (4) negli anni ’70 proposero un modello che divenne la base per gli studi futuri sulla memoria. Secondo gli autori l’input ambientale, colto dagli organi di senso, viene elaborato e temporaneamente immagazzinato nella Memoria a Breve Termine (MBT) da cui, se non decade, passa alla Memoria a Lungo Termine (MLT).
Successivamente Baddeley (5) elaborò un nuovo modello che prevedeva una struttura chiamata Memoria di Lavoro (WM) collocando in essa, e non più nella MBT, l’esplicarsi dei processi di elaborazione delle informazioni.
Possiamo facilmente comprendere che la memoria di lavoro è strettamente connessa agli apprendimenti scolastici; ad esempio, in ambito matematico, la memoria di lavoro è utilizzata per il calcolo a mente: per svolgere i passaggi di un’operazione, occorre infatti uno spazio mentale in cui mantenere le informazioni attive, elaborarle e produrre una risposta.
È molto importante capire qual è l’efficienza delle componenti della WM nelle varie fasi di ciclo di vita poiché in ciascuna di esse possono verificarsi delle difficoltà di processo con risvolti dal punto di vista prestazionale.
Numerosi studi in letteratura hanno infatti dimostrato che l’inefficienza o l’inadeguatezza della WM può essere un problema trasversale a molti disturbi fra cui DSA (Disturbi Specifici di Apprendimento), ADHD (Disturbo di attenzione e iperattività) e disturbi del linguaggio; i bambini/ragazzi con deficit della memoria di lavoro hanno tempi di tenuta attentiva piuttosto limitati, sono considerati facilmente distraibili e faticano a portare a termine i compiti che richiedono un certo dispendio di energie mentali.
Ricordiamo infatti che con il termine memoria di lavoro ci si riferisce a quei processi di mantenimento e manipolazione delle informazioni che avvengono simultaneamente ad altri processi cognitivi complessi che richiedono attenzione.
Ai fini dell’apprendimento, inoltre, è necessario che le informazioni memorizzate si rendano disponibili per elaborazioni future.
Molti autori concordano nel ritenere che la velocità e la correttezza nel recupero delle informazioni dalla memoria a lungo termine dipendano anzitutto dall’efficacia del processo di memorizzazione.
Materiale ben elaborato e collegato a conoscenze pregresse viene recuperato e padroneggiato più facilmente in futuro.
Intelligenza, ragionamento e problem solving
Nel tempo il costrutto di intelligenza è stato ampiamente studiato. In letteratura si è passati da una concezione dell’intelligenza come costrutto omogeneo e generico, alle posizioni attuali che riconoscono diverse forme di intelligenza.
Nel 1905 Binet e Simon (6) introdussero il concetto di età mentale tuttora utilizzato per misurare l’intelligenza di un individuo in relazione a un campione di riferimento.
A sua volta Stern (7) coniò il termine quoziente intellettivo (QI) per indicare il rapporto tra età mentale ed età cronologica.
La valutazione dell’intelligenza è un passaggio di diagnosi imprescindibile nell’ambito dei Disturbi di Apprendimento, infatti non può essere effettuata diagnosi di DSA in presenza di una disabilità intellettiva (8).
La possibilità di apprendere contenuti nuovi dipende anche dalla capacità dell’individuo di confrontarsi con situazioni diverse e di ristrutturare gli elementi della realtà per generare soluzioni e pensieri creativi.
Di fronte ad un compito nuovo l’operazione mentale più economica rimane sicuramente quella di cercare nell’esperienza passata una strategia che si è rivelata efficace.
Questo movimento del pensiero è detto analogico e consiste nella ricerca di elementi comuni tra la nuova e la vecchia situazione per risolvere il problema con schemi conosciuti.
Ragionare per analogie può essere il primo passaggio attraverso il quale l’individuo studia le situazioni, vedendo prima le similarità e poi le differenze. Negli apprendimenti scolastici il pensiero analogico richiede flessibilità di pensiero.
Quando il confronto con una sola esperienza non è sufficiente a trovare la soluzione al problema, è possibile confrontare tra loro più esperienze e cercare un principio comune che permetta di capire le diverse situazioni.
Questo modo di ragionare è definito induttivo: a partire da tanti casi particolari si ricava una conclusione generale. Un aspetto importante del pensiero induttivo è che porta il soggetto a formulare ipotesi, previsioni e possibili conclusioni.
Ogni volta che un’ipotesi viene formulata occorre effettuare una verifica (che potrebbe falsificare o confermare l’ipotesi).
È quindi importante imparare a formulare ipotesi e soprattutto a verificarle, poiché la flessibilità di pensiero passa anche dal saper accettare che una determinata conclusione può non essere quella giusta e quindi occorre scartarla e modificare qualcosa nel ragionamento fatto.
Quando si effettua un percorso inverso si parla invece di ragionamento deduttivo: a partire da ipotesi di carattere generale si ricavano soluzioni che riguardano i casi particolari.
Risulta dunque importante aiutare i ragazzi a sviluppare e utilizzare in maniera flessibile entrambe le capacità di ragionamento (dal particolare al generale e viceversa). Molti programmi di potenziamento delle abilità di studio puntano proprio sullo sviluppo della flessibilità di pensiero e ragionamento.
Tale abilità fa parte di un costrutto più ampio noto come problem solving, termine con il quale ci si riferisce all’attività di pensiero che il soggetto mette in atto quando deve raggiungere un obiettivo a partire da una data situazione e da un insieme di informazioni.
Note:
(1) Dispense di Neurodidattica – Unicusano – Dott.ssa Bonfiglio Luisa – Modulo 2 Attenzione – Sottoparagrafo 2.1.
(2) Psicologia della Gestalt nata in Germania agli inizi del ‘900 per poi svilupparsi anche negli Stati Uniti. Fondatori Wertheimer, Koffka e Köhler focalizzati sugli aspetti percettivi e del ragionamento/risoluzione di un problema.
(3) Strumento in grado di mostrare una serie di immagini in un arco temporale molto breve che può arrivare fino ad alcuni millisecondi; utile nel trattamento della dislessia.
(4) ATKINSON e SHIFFRIN – 1968 – Modello sulla memoria umana che rappresenta il prototipo della memoria vista come funzione mentale attiva HIP (Human Information Processing).
(5) BADDELEY A.D. – Psicologo Britannico – 1934 – Working Memory (1974) – New York – Accademy Press.
(6) BINET A. – SIMON T. – Psicologi Francesi – Inventori del primo test di intelligenza base dell’odierno test QI – (1857-1911) – (1872-1961).
(7) STERN D. – Psichiatra e Psicoanalista Statunitense – (1934-2012).
(8) Documento di Consensus Conference – (2011).
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