Si parla di competenze trasversali, soprattutto in ambito scolastico, per l’influenza che le stesse esercitano sul rendimento e sui giudizi espressi a tale riguardo. Si tratta di variabili sottese all’apprendimento quali la motivazione, l’ansia da prestazione, la consapevolezza dei propri punti di forza e di debolezza, l’autostima, la conoscenza di sé e la gestione dello stress e delle scelte.
Competenze trasversali…cosa sono?
L’importanza di valutare in maniera adeguata le competenze trasversali si lega alla possibilità di poter programmare interventi educativi in grado di facilitare il successo scolastico.
Sulla base di alcune ricerche (1) è stato possibile evidenziare alcuni tratti che caratterizzano lo studente di successo.
“Lo studente efficace è uno studente motivato ad apprendere, attribuendo a questo concetto tre dimensioni essenziali:
- Attivazione della persona che apprende: è l’individuo che ostruisce la propria motivazione perché agisce intenzionalmente nel proprio ambiente, valuta le proprie capacità prima e durante l’azione, utilizza i mezzi di cui dispone per raggiungere l’obiettivo.
- Autopercezione in relazione al compito o all’attività da svolgere: le aspettative della persona nelle situazioni in cui gli viene implicitamente o esplicitamente chiesto di riuscire sono influenzate dal grado in cui egli si considera competente e dalle sue percezioni della difficoltà del compito.
- Strumenti utilizzati per raggiungere gli obiettivi: sono le modalità con cui uno studente pianifica, organizza, controlla e valuta il proprio comportamento rivolto a uno scopo.” (2)
Il raggiungimento degli obiettivi per lo studente efficace comporta il consolidamento ed il miglioramento delle proprie conoscenze e abilità e l’errore viene considerato non come fallimento ma come tappa necessaria per lo sviluppo e l’accrescimento delle proprie esperienze.
I più recenti studi in campo psicologico hanno aperto la strada al riconoscimento della componente emotiva dell’intelligenza e delle competenze trasversali che fungono da trait d’union tra la parte emotiva e quella cognitiva.
Motivazione
La motivazione rappresenta quell’insieme di fattori che inducono una persona a mettere in atto un determinato comportamento o a perseguire un obiettivo prefissato. La mancanza di motivazione può verificarsi per diversi fattori come ad esempio scarso interesse al compito svolto o al contesto, alla percezione troppo elevata di difficoltà o troppo poco sfidante e ciò rappresenta uno dei principali fattori di insuccesso.
Al contrario, perché ci sia motivazione è necessario che la persona sia in grado di agire su sé stessa, di percepire il controllo su ciò che fa e di essere attivamente coinvolta. La motivazione può essere primaria, ovvero legata a bisogni fisiologici e innati oppure secondaria cioè legata a bisogni appresi culturalmente e derivanti dal contesto sociale o dall’apprendimento; sono proprio le motivazioni secondarie a supportare una buona autostima, un’immagine positiva di sé stessi e a spingere l’individuo alla realizzazione dei suoi obiettivi.
Possiamo inoltre operare un’ulteriore distinzione tra motivazione intrinseca ed estrinseca, nel primo caso siamo motivati ad impegnarci in un compito perché lo troviamo soddisfacente (ad esempio coltivare un hobby), nel secondo caso, invece, agiamo in vista di una ricompensa (ad esempio partecipare ad una competizione).
Strettamente connessi alla motivazione sono gli interessi, intesi come atteggiamenti favorevoli nei confronti di oggetti, situazioni o attività.
Valori
Con questo termine ci riferiamo all’insieme di convinzioni e atteggiamenti duraturi e culturalmente appresi in base ai quali un individuo si orienta e si comporta. Tutti abbiamo dei valori ma ciò che ci distingue è l’ordine di importanza che attribuiamo agli stessi e ciò permette la risoluzione dei conflitti e la presa di decisione. I valori, come gli interessi, si strutturano durante l’adolescenza e in età giovanile e si possono idealmente suddividere in ultimi, che forniscono all’individuo ragioni di vita, e strumentali utili a giustificare il nostro agire quotidiano in vista di un obiettivo. Costruiamo il nostro stile di vita sulla base dei valori in cui crediamo.
Immagine di sè
“Nella formulazione di Bandura (1977), il sistema del sé non è un agente psichico che controlla il comportamento, ma si riferisce a strutture cognitive che servono da punti di riferimento e a un gruppo di specifiche funzioni per la percezione, la valutazione e la regolazione del comportamento. Il sé, quindi, viene concepito come l’insieme dei processi che consentono l’autoregolazione dei comportamenti: auto-osservazione, autovalutazione, autorinforzo. Essenziale diventa pertanto rilevare la rappresentazione che il soggetto ha del sé, legato, a sua volta, alle rappresentazioni e alle aspettative che gli altro hanno nei suoi riguardi.” (3)
Il raggiungimento dell’Identità si ritiene sia la meta fondante del processo evolutivo.
Un concetto connesso all’immagine del sé è quello di autostima, intesa come stile di risposta appreso che rispecchia la valutazione operata dall’individuo sulle sue esperienze e comportamenti messi in atto e predittori, in parte, dei suoi comportamenti futuri. Si tratta quindi di un apprezzamento di sé stessi basato sull’autovalutazione integrata delle componenti che costituiscono la propria personalità.
“È possibile considerare l’autostima in età evolutiva in quattro ambiti specifici:
- L’autostima sociale (o interpersonale) comprende i sentimenti del bambino riguardo a sè stesso come amico di altri;
- In ambito scolastico riguarda il valore che il bambino attribuisce a sè stesso come studente. Se riesce a raggiungere i suoi standard di successo scolastico allora la sua autostima sarà positiva;
- L’autostima familiare riflette i vissuti che il bambino prova come membro della sua famiglia;
- L’autostima corporea è una combinazione di aspetto fisico e di capacità. Essa consiste nella soddisfazione che il bambino prova rispetto al modo in cui il suo corpo appare e alle prestazioni che riesce ad eseguire.” (4)
Attribuzione di causalità
Le attribuzioni causali sono quei processi che le persone mettono in atto per cercare spiegazioni per il loro e per l’altrui comportamento inferendo le cause che stanno dietro specifiche azioni e sentimenti. L’attribuzione può essere interna, cioè quando individuo una causa dipendente da me e quindi controllabile, oppure esterna, quando la causa di ciò che è successo si trova al di fuori del mio controllo ovvero imputabile a situazioni non dipendenti dal mio volere.
Per identificare le cause mettiamo in atto uno schema mentale stabile che ci induce ad interpretare sempre allo stesso modo gli eventi influenzando inevitabilmente le reazioni agli eventi futuri e le aspettative. Strettamente collegato allo stile attributivo troviamo il locus of control (letteralmente “luogo di controllo”), ovvero quel luogo dove la persona ritine risiedano le cause di ciò che le accade, i successi e gli insuccessi.
“In riferimento al locus of control, su un continuum interno-esterno, è possibile individuare cinque categorie:
- credenze disfattiste: ogni tentativo nei confronti dell’ambiente, percepito come ostile, viene ritenuto inutile e nessuna azione concreta viene intrapresa;
- credenze di dipendenza: ci si affida totalmente all’ambiente perché si faccia carico dei problemi, sono la fortuna e il caso a determinare gli eventi;
- credenze prescrittive: chi utilizza questo genere di credenze, pur intravedendo delle possibilità di azione, si sente deprivato nei confronti di esse e finisce con l’affidarsi alle contingenze dell’ambiente;
- autoresponsabilizzazione: viene riconosciuta l’importanza della determinazione personale e della propria esperienza, è pertanto sentita la necessità di pianificare la propria carriera, compiere delle scelte, intraprendere delle azioni;
- credenze proattive: gli sforzi personali rappresentano una possibilità di azione su un ambiente ricco di continui cambiamenti e portatore a volte di opportunità a volte di ostacoli.” (5)
Autoefficacia
Questa competenza si lega indissolubilmente a quella di attribuzione; parliamo infatti di autoefficacia quando un individuo attribuisce i suoi successi ad una causa interna valutandola positivamente. Si tratta quindi di convinzione nelle proprie capacità di saper organizzare e gestire
Le situazioni che si incontrano nel quotidiano. Le convinzioni di efficacia possono nascere da precedenti esperienze positive, da modelli di riferimento, dalla persuasione e da stati emotivi e regolano il funzionamento della persona attraverso alcuni processi primari: cognitivi, motivazionali, affettivi e di scelta (quanto più forte è l’autoefficacia rispetto alla presa di decisioni, tanto maggiore è la qualità dell’attività di esplorazione finalizzata alle scelte formative e professionali).
Competenze sociali e relazionali
Quando parliamo di competenze sociali (o assertività) ci riferiamo a tutte quelle abilità che ci permettono di affermare le nostre esigenze, le nostre idee e i nostri principi oltre ad ottenere relazioni interpersonali desiderabili. Sviluppare tali competenze significa raggiungere i nostri obiettivi mantenendo rapporti soddisfacenti; è oramai noto infatti, che uno scarso adattamento alle richieste della vita quotidiana, la mancanza di motivazione e lo scarso controllo emotivo influiscano negativamente sulle nostre performance.
Alcune abilità fondamentali per controllare le situazioni conflittuali nelle relazioni sono l’autocontrollo dell’impulsività, il problem-solving, dare e accettare richieste e istruzioni e imparare ad emettere feedback positivi e negativi.
La capacità di interagire con gli altri in modo adeguato è determinante per lo sviluppo del bambino, per la socializzazione e per l’apprendimento scolastico.
Stili decisionali
Secondo Pravettoni e Vago (2007), risolvere un problema equivale ad individuare o a generare una strategia e comporta l’individuazione di un percorso per arrivare all’obiettivo prefissato mentre decidere significa scegliere una (la più favorevole) delle opzioni possibili già date. Una prima classificazione definisce le decisioni sulla base del grado di sicurezza rispetto agli esiti, sulla base della lunghezza del processo decisionale e sul livello di controllo operato.
In letteratura troviamo ter modelli che offrono una spiegazione del processo decisionale:
- modelli normativi: indicano la razionalità come modello di pensiero e come strumento per raggiungere mete ed obiettivi. Consentono dunque di formulare la scelta migliore in termini di massimizzazione del guadagno riducendo al minimo il rischio;
- modelli descrittivi: affermano che in primo luogo si operino una codifica, una semplificazione e un’organizzazione e solo successivamente la valutazione;
- modelli prescrittivi: hanno lo scopo di portare l’individuo a compiere scelte che siano il più soddisfacente possibile minimizzando gli svantaggi.
Sono numerosi i processi che interagiscono nella capacità di scelta: il pensiero morale che ci permette di fare valutazioni sulla base di valori condivisi; i processi induttivi, utili per mettere a confronto le alternative; il pensiero critico, indispensabile per esprimere un giudizio; processi deduttivi, utili per la valutazione delle conseguenze; attenzione selettiva, memoria a breve termine e processi metacognitivi.
Con stile decisionale ci riferiamo alla tendenza ad affrontare le scelte seguendo modalità costanti legate alle inclinazioni personali e diversi sono gli autori che hanno proposto alcune classificazioni a riguardo.
“Arroba (1977) individua 6 stili decisionali:
- logico, il cui scopo è raggiungere i propri obiettivi e far valere i propri meriti;
- cieco, in cui la decisione è presa in breve tempo e senza sforzo;
- esitante, assimilabile alla procrastinazione (tendenza a rinviare);
- emotivo, che si fonda soprattutto sui sentimenti e gli aspetti soggettivi;
- accomodante, in cui le decisioni sono conformi alle aspettative degli altri;
- intuitivo, in cui la decisione si impone alla persona senza che questa sia in grado di giustificarla.”
Harren (1979) organizza gli stili in tre categorie:
- razionale, caratterizzato dalla capacità di riconoscere la sequenzialità delle informazioni e di anticipare le decisioni future attraverso la ricerca delle informazioni;
- intuitivo, accomunato al precedente dalla capacità di assumersi la responsabilità della propria decisione ma caratterizzato dall’utilizzo della creatività;
- dipendente, caratterizzato dalla negazione della responsabilità personale nel processo decisionale.
Infine esiste un’altra classificazione che raggruppa quattro stili decisionali:
- la vigilanza, che consiste nel fare attenzione a pianificare in nodo accurato i processi e le operazioni decisionali;
- l’ipervigilanza, che è la capacità di risolvere il conflitto derivante dalla presa di decisione in modo frenetico;
- l’evitamento, rappresentato da quei comportamenti che si manifestano quando il decisore evita il conflitto dando ad altri la responsabilità della decisione,
- la procrastinazione, che costituisce la tendenza a posticipare la presa di decisione.” (6)
La scelta è un processo complesso che mette insieme variabili personali, sociali e culturali, tutti fattori che determinano il risultato e la scelta stessa.
Note:
(1) (Cornoldi, 1995; De Beni e Moè, 2000; Pazzaglia et al., 2002)
(2) (“Competenze trasversali e scelte formative” – Erickson 2013 – Pag.8)
(3) (“Competenze trasversali e scelte formative” – Erickson 2013 – Pag. 41)
(4) (“Competenze trasversali e scelte formative” – Erickson 2013 – Pag. 62-63)
(5) (“Competenze trasversali e scelte formative” – Erickson 2013 – Pag. 66)
(6) (“Competenze trasversali e scelte formative” – Erickson 2013 – Pag. 100)
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